26/11: Giulio Dolchi “Dudo”

Giulio Dolchi”Dudo” – questo era il suo nome di battaglia durante la Resistenza, ma l’avrebbe conservato anche dopo, per gli amici – era figlio di Eugenia Martinet e di Luigi Dolchi, un ufficiale degli Alpini che, per non aderire all’esercito repubblichino, fece due anni di prigionia in Germania. Dopo l’8 settembre del 1943, come partigiano entrò nel 13° Gruppo, che prese poi il nome ” E. Chanoux”, comandato da Silvio Gracchini e, successivamente, nella banda “Arturo Verraz” operante in Valle di Cogne al comando di Giuseppe Cavagnet. Nella fase finale della lotta antifascista, Dolchi operò in Francia come comandante di una squadra partigiana collaborando regolarmente alle trasmissioni radio clandestine. Iscritto al PCI dal 1944, subito dopo la Liberazione dette vita alla sezione valdostana dell’ANPI. Nel 1948 fondò il giornale Le Travail . Dal 1954 al 1966 fu sindaco di Aosta. Nel 1968 “Dudo” , eletto in Consiglio regionale , vi resterà per cinque legislature: 24 anni nei quali, a più riprese, ricoprì la carica di Presidente del Consiglio della Valle. Dolchi è stato anche dirigente della Lega dei Comuni democratici, della Federazione mondiale delle città gemellate.

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25/11: Da “La Resistenza a Cogne”, di G.E. Tedeschi

“Quando finalmente lascio il mio rifugio è l’ora di pranzo, le strade sono deserte, ma ci sono due donne a pochi metri dalla porta; dovrò semplicemente seguirle a qualche distanza…fino a un sentiero dove mi lasciano con le ultime istruzioni. Il mio prossimo appuntamento è a Aymavilles, dove incontrerò la corriera diretta per Cogne(…) perché anche questo fa parte del quadro, il regolare servizio di corriere tra la valle occupata dai tedeschi e quella di Cogne, in mano ai partigiani. Tra le due c’è un bel pezzo di terra di nessuno, poi si arriva al posto di blocco, c’è una quantità di ragazzi variamente affaccendati, il primo che vedo e ricordo è Dudo, Giulio Dolchi, con un berrettino rotondo e i calzoni corti. (…)(E.Gentili Tedeschi dal racconto “La resistenza a Cogne”)

FOTO: il castello di Aymavilles, banda a Fenis

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24/11: Testimonianza di Emilio Bertello

“Hanno piazzato la mitragliatrice, poi un gruppo è venuto avanti, sul sentiero. Dal colle alla casa ci saranno 150-200metri…In quel momento il cuoco metteva su la marmitta. La guardia era già smontata, perché era già giorno. Giorno completo… Questo qui va giù con la marmitta a prendere acqua. Allora questi gli fanno pss pss, lo chiamano. Questo qui riesce a scappare. Gli sparano dietro…Immediatamente noi saltiamo giù. Si buttano giù in mezzo alla neve dal colle. Allora guardiamo giù e vediamo un’altra colonna che sale e in quel momento lì comminciano a sparare i mortai…E i io mi ricordo che ero fuori e Gaddo mi dice: “Sono ferito”(…) “Ma è grave?” gli ho detto. “No, no…” ha detto.” (testimonianza di Emilio Bertello)

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23/11: Da “Gaddo e gli altri ‘svizzeri’, storie della resistenza in valle d’Aosta “

Il 21 febbraio 1945 durante un attacco tedesco alla Morgnetta, nell’alta valle Clavalité, morirono cinque partigiani della Brigata Garibaldi Emile Lexert. Valerio Betti (Aquila), Mirko Cerise (Mirko) Giuseppina Gechele (Maria) Mario Caiazzo, (Dottore) e Gianfranco Sarfatti (Gaddo) avevano trovato rifugio a La Morgnetta, un luogo isolato e in cui c’era una casa di caccia del barone Bec Pecoz.

Gianfranco Sarfatti, “Gaddo”, nato a Firenze il 12 aprile del 1922, ad appena sedici anni viene espulso, perché ebreo, da tutte le scuole del Regno.
Il 1943 ’adesione al Pci, … nel febbraio del 1944 la fuga in Svizzera con i genitori, il 5 aprile i tre varcano la rete che delimita la neutralità elvetica.
“Li accompagno in Svizzera e rientro subito”, aveva detto agli amici partendo; ma la cosa non è così semplice( …)Giunto a Losanna ,poco dopo il trasferimento di Giorgio Elter, Gianfranco Scarfatti viene incaricato dal partito di riprendere il suo lavoro di organizzazione e di educazione dei giovani militari rifugiatisi in Svizzera, e quello di attivista comunista all’interno dell’associazione studentesca “Corda Fratres”.
in luglio, grazie all’iniziativa di due giovani comunisti, viene stabilito un primo contatto Cogne-Losanna, e in agosto quando Nello Corti ed Ugo Pecchioli tornano clandestini nella Confederazione per dare il via alla complessa operazione, Gianfranco Sarfatti viene inserito dai suoi dirigenti (Luigi Zuccoli e Giulio Seniga) nel primo gruppo destinato a passare il confine. Rimane a Cogne come Commissario politico fino a ottobre quando si trasferisce a Fenis. Passerà un inverno durissimo, tra il 44 e il 45 in una baita a 1800 metri sopra Fenis, (La Morgnetta) dove morirà in combattimento il 21 febbraio del 1945, a seguito di una delazione.
(“Gaddo e gli altri “svizzeri”, storie della resistenza in valle d’aosta “- di Michele Sarfatti , a cura dell’Istituto Storico della resistenza della Valle d’Aosta)

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21/11: Fine

La cronaca della Repubblica di Cogne si conclude qui.
Tracceremo ancora qualche breve biografia, qualche spezzone di memoria, di chi vi prese parte. Solo di una piccola parte di loro, poiché la maggior parte dei partigiani di Cogne è rimasta in silenzio, dopo quell’esperienza, riprendendo la vita normale, quasi sempre senza nemmeno partecipare agli annuali incontri del 25 aprile o alle commemorazioni organizzate dall’ANPI; parlando di quello straordinario periodo soltanto in famiglia.
La maggior parte di loro non ci sono più, ormai, per ragioni anagrafiche e noi abbiamo sperato che questa pagina raggiungesse i loro famigliari, per poter colmare almeno in parte le lacune della ricostruzione biografica dei protagonisti eroici dell’estate/autunno 1944. Ci contiamo ancora.
Forse faremo in seguito un uso ancora diverso di questa pagina, nel solco dell’informazione, tracciato dalla Radio della Repubblica di Cogne, da cui ogni giorno Dudo annunciava: Allò Allò, ici val d’Aoste libre. Puisque nous puissions dire, demain, notre parole….

 

22/11: Eugenio G. Tedeschi

da: “Voci della resistenza ebraica italiana” – di A.Chiappano – ed. Le Chateau:

Eugenio G. Tedeschi nasce a Torino nel 1916, si laurea in architettura ed entra, a Milano, nello studio di Gio Ponti. Dopo l’8 settembre si rifugia a La Salle con i genitori. Viene arrestato e rimane in carcere ad Aosta dal 13 giugno al 17 luglio 1944; dopo la scarcerazione entra, a Cogne, nella banda Arturo Verraz.Nome di barraglia “Galera”. Dopo la battaglia del 2 novembre, ripara in Francia con il gruppo capitanato da Plik (duecento persone, di cui 130 partigiani). Si sposa nel 1947 con Isolda Felici. E’ stato architetto e prof ordinario al Politecnico di Milano. E’ morto nel 2005.
Il volume citato contiene tre suoi racconti sull’esperienza della Repubblica di Cogne.

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20/11: Saluto di Rigoni Stern ai Partigiani

sì, Compagni, perché è un nome bello e antico che non dobbiamo lasciare in disuso; deriva dal latino “cum panis” che accomuna coloro che mangiano lo stesso pane. Coloro che lo fanno condividono anche l’esistenza con tutto quello che comporta: gioia, lavoro, lotta e anche sofferenze. È molto più bello Compagni che “Camerata” come si nominano coloro che frequentano stesso luogo per dormire, e anche di “Commilitone” che sono i compagni d’arme. Ecco, noi della Resistenza siamo Compagni perché abbiamo sì diviso il pane quando si aveva fame ma anche, insieme, vissuto il pane della libertà che è il più difficile da conquistare e mantenere.
Oggi che, come diceva Primo Levi, abbiamo una casa calda e il ventre sazio, ci sembra di aver risolto il problema dell’esistere e ci sediamo a sonnecchiare davanti alla televisione.
All’erta Compagni!
Non è il tempo di riprendere in mano un’arma ma di non disarmare il cervello sì, e l’arma della ragione è più difficile da usare che non la violenza. Meditiamo su quello che è stato e non lasciamoci lusingare da una civiltà che propone per tutti autoveicoli sempre più belli e ragazze sempre più svestite. Altri sono i problemi della nostra società: la pace, certo, ma anche un lavoro per tutti, la libertà di accedere allo studio, una vecchiaia serena; non solo egoisticamente per noi, ma anche per tutti i cittadini. Così nei diritti fondamentali della nostra Costituzione nata dalla Resistenza.

Vi giunga il mio saluto, Compagni dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e Resistenza sempre.

Vostro Mario Rigoni Stern Mira (Venezia)
20 gennaio 2007

17/11: L’ospizio

….all’Ospizio siamo rimasti cinque giorni e io avrei tanto voluto rimanere lì per sempre, perché era caldo, si mangiava, c’erano quei bei letti, ogni giorno arrivavano i partigiani dell’albergo Italia…. Fuori continuava a soffiare la tormenta…C’erano con noi il notaio Oliietti e Duc che raccontava storielle…Una volta padre Manna, con cui avevamo fatto amicizia, mi aveva portata nel coro della chiesa a vedere una loro cerimonia religiosa
. Ero lì nascosta in alto e ancora ho negli occhi quello spettacolo bellissimo: i frati erano vestiti di rosso e facevano dei movimenti che parevano coreografati…. C’era da visitare la Morgue, ma io non ci sono andata, è andato Piero e mi ha raccontato di tutte quelle mummie in fila. Poi è arrivato il sole e i frati sciavano e sciavano così bene come avevo visto solo un mese prima a Colonna. Piero ha sciato con loro. Non c’era più la tormenta e bisognava ripartire.(O.Elter op.cit)

16/11: Ricordi di Cipriano Savin

…Ricordo la saletta da pranzo dell’ospizio, che mi faceva pensare a Colonna, ricordo l’odore…il letto più comodo del mondo, con grandi cuscini di piuma, e la colazione il mattino, col latte, cacao, pane e uno squisito formaggio vallesano. I doganieri svizzeri avevano un grande cappello con la tesa rialzata. Ci hanno subito detto che non era sicuro che potessimo rimanere in Svizzera. La mamma si è arrabbiata, gli ha detto che se non ci facevano entrare erano dei criminali, perché era come se ci fucilassero, noi indietro non potevamo tornare. Poi ci hanno chiesto se avevamo denaro e valori. Avevamo 1000 franchi che ci aveva dato Fresia. Gli abbiamo consegnato i mille franchi e così siamo poi entrati in Svizzera senza un soldo. Quanto ai valori, cuciti nei miei calzoni , c’erano tre portasigarette d’oro, che un certo Lolli, ebreo, aveva lasciato in custodia a mio papà.Quelli non li abbiamo consegnati e sono poi stati restituiti ai suoi famigliari, a Losanna…(Orsetta Elter op. cit….)

…Ricordo l’incidente che costò la vita a 84 prigionieri inglesi e tre guide italiane, tutti morti nella tormenta. In primavera, con un cappellano inglese fui mandato a dissotterrare i morti, ai quali dovevamo prelevare la piastrina, bagnandola con l’acqua calda a causa del gelo. Un brutto lavoro, meglio sulla Galisia con la neve fino alla cintola e 30 gradi sotto zero. Ma è passata e sono ritornato. La Cogne allora mi ha pagato tutte le giornate, come se avessi lavorato(Cipriano Savin memoria cit)…

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14/11: O. Elter e Ernesto Breuvé raccontano

“Quando siamo finalmente arrivati all’albergo Italia ci hanno accolti con grandi feste i partigiani di Silvio e quelle persone partite con noi da Cogne, che erano subito scese a Fenis la sera del 2 novembre.. Ricordo Renata e poi c’era il padre di Mésard e un certo Duc. Ci hanno dato la cena e Silvio serviva in tavola come il cameriere di un ristorante di lusso. Ci dicevano “fermatevi qui”, ma la mamma ha voluto andare subito all’ospizio, così siamo usciti di nuovo nella tormenta, ma non mio è parso lungo, quel tratto, perché era in piano…”(O.Elter op cit)
“Dopo la liberazione mi reco a Cogne in bicicletta con mia moglie, la piccola partigiana che qui avevo incontrato: ci siamo sposati da partigiani con matrimonio segreto. Passo a trovare il Sig. Arizio, felicissimo di trovarmi vivente in quanto non aveva più avuto mie notizie, mi dice ancora che mi si è molto affezionato, come un padre, dice. Poi cambia il discorso, mi racconta che a causa mia ha rischiato la vita, che quando al mattino successivo alla nostra evacuazione si rese conto di cosa poteva succedere, raccolse tutti i miei disegni e programmi di lavorazione e li gettò in un tombino di scarico all’esterno dell’officina.Quando giunsero i tedeschi, che evidentemente erano al corrente di quanto ivi avveniva, videro nella neve la traccia del passaggio verso il tombino e, sollevatone il coperchio, vi trovarono parte del materiale compromettente che a causa del gelo vi era rimasto impigliato.Il comandante voleva fucilarlo, ma lui dette tutte le colpe al ferocissimo partigiano Technical, agli ordini del quale lui e tutti quanti i meccanici erano stati costretti a lavorare contro la loro volontà. Questa giustificazione, ribadita da altri presenti, convinse il tedesco a risparmiargli la vita.”(Ernesto Breuvé “Technical” – testimonianza cit)